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Esposizione allo specchio

Articoli scientifici
ESPOSIZIONE ALLO SPECCHIO PER RIDURRE LA PREOCCUPAZIONE DEL PESO E DELLE FORME CORPOREE NEI DISTURBI DELL'ALIMENTAZIONE: ASPETTI TEORICI E PRATICI

ABSTRACT
La terapia cognitivo e comportamentale (CBT) è una delle forme di trattamento più utilizzate ed efficaci nella cura dei disturbi dell’alimentazione, ma spesso è parzialmente efficace nel ridurre uno dei più importanti fattori di mantenimento di questi disturbi e cioè la preoccupazione disfunzionale nei confronti del peso e delle forme corporee. Per superare questi limiti, recentemente è stata proposta una nuova modalità di trattamento basata sull’esposizione sistematica allo specchio secondo le procedure della Mindfulness-based cognitive therapy (MBCT). In questo lavoro sono descritte le basi teoriche e gli aspetti pratici di questa innovativa forma di esposizione, assieme ai risultati ottenuti in una paziente ricoverata affetta da anoressia nervosa che, dopo la normalizzazione del peso, presentava ancora elevati livelli di preoccupazione per il peso e le forme del corpo. I risultati positivi ottenuti con questo disegno sperimentale su caso singolo (riduzione importante della preoccupazione per il peso e le forme corporee della paziente), incoraggia a testare la procedura di esposizione allo specchio in un gruppo più ampio di pazienti e successivamente un disegno sperimentale controllato.

Introduzione
Le due forme più referenziate di terapia cognitiva e comportamentale (CBT) applicate nei disturbi dell’alimentazione, il modello di Fairburn (1981) per la bulimia nervosa e quello di Garner e Bemis (1982) per l’anoressia nervosa, sono derivate principalmente dall’approccio di Beck e colleghi per la cura della depressione e dell’ansia (Beck, 1976; Beck, Freeman et al., 1990; Beck, Rush, Shaw & Emery, 1979). Entrambe le terapie, pur molto diverse tra loro negli obiettivi e nelle modalità d’intervento (per una loro descrizione dettagliata vedi Garner & Dalle Grave, 1999), cercano di ridurre la preoccupazione disfunzionale per il peso e le forme corporee tipica di questi pazienti, utilizzando esercizi comportamentali e tecniche classiche di ristrutturazione cognitiva.
Recenti studi hanno indicato che la CBT applicata nella bulimia nervosa è meno efficace nel determinare la riduzione della preoccupazione eccessiva per il peso e le forme corporee che nell’eliminare i sintomi comportamentali tipici di questo disturbo (abbuffate, condotte di compenso, restrizione dietetica) (Walsh et al., 1997; Wilson et al., 1999). Tale fatto forse spiega perché la CBT, nonostante sia il trattamento più efficace fino ad ora testato, determina una remissione completa dalle abbuffate e dalle condotte di compenso solo nel 40%-50% dei soggetti trattati. Le esperienze cliniche effettuate nell’utilizzo della CBT con pazienti anoressiche, non essendo ancora disponibili dati sulla sua efficacia derivati da studi controllati, confermano anch’esse che la preoccupazione estrema per il peso e la forma corporea è il disturbo cognitivo più resistente al cambiamento ed una sua mancata riduzione si associa generalmente alla ricaduta (Vitousek, 1996).
Tale problema, ha portato alcuni ricercatori a proporre negli ultimi anni delle strategie innovative che potrebbero essere potenzialmente più efficaci nel riuscire a ridurre la preoccupazione disfunzionale per il peso e le forme corporee (Rosen, 1996; Wilson, 1999). Un metodo promettente è quello descritto da Tuschen & Bent (1995), che consiste nell’esposizione sistematica agli stimoli che elicitano preoccupazioni disfunzionali nei confronti del peso e delle forme corporee. In tale forma di esposizione le pazienti sono poste di fronte ad uno specchio che fornisce una piena visione del corpo da diversi angoli. L’utilizzo di questa tecnica nelle pazienti con bulimia nervosa deriva dal fatto che essa si è dimostrata efficace con altre popolazioni cliniche e non, come ad esempio pazienti obesi con abbuffate (Rosen et al., 1995), pazienti con disturbo di dismorfismo corporeo (Rosen, 1996) e donne della comunità preoccupate per il peso (Butters & Cash, 1987).
Recenti sviluppi teorici e di ricerca hanno suggerito modi nuovi e potenzialmente più efficaci per implementare l’esposizione allo specchio. Ad esempio, si è osservato che per alcune emozioni negative lo sperimentare direttamente una situazione stressante (emotional processing, trad. it. processazione delle emozioni), come può essere per una paziente bulimica l’esporsi allo specchio, può essere più efficace della distrazione o della risoluzione attiva dei problemi, procedure quest’ultime tipicamente utilizzate nella CBT (ad esempio sfidando la validità dei pensieri negativi con la ristrutturazione cognitiva convenzionale) (Hunt, 1998).
Teasdale (1997, 1999), in accordo con il focus sulla processazione delle emozioni, ha proposto un modello di cambiamento che differenzia due livelli qualitativamente diversi di cognizioni, uno proposizionale, che si riferisce ai significati specifici e razionali, ed uno implicazionale, che rappresenta un più generico modello schematico di sé e degli altri. Secondo la sua teoria solo quest’ultimo è legato direttamente alle emozioni, come quelle che possono essere attivate in una paziente bulimica che si espone allo specchio. Modificazioni ad un livello schematico implicazionale si possono talvolta ottenere attraverso la ristrutturazione cognitiva tradizionale, ma sembra sia necessario sviluppare dei metodi alternativi e più diretti. La chiave dovrebbe essere quella di inattivare e sostituire modelli schematici disfunzionali (“mind-set in place”) con mind-sets più adattivi.
L’esposizione sistematica allo specchio può essere un potente mezzo per modificare mind-sets disfunzionali riguardanti il peso e le forme del corpo. Wilson (1999), a tale proposito, ha recentemente descritto un metodo di esposizione allo specchio in cui le pazienti sono istruite a descrivere, ma non giudicare, il proprio corpo e sono incoraggiate ad adottare una cornice della mente che Linehan (1993) ed altri hanno chiamato “mindfullness”. Il metodo è ancora in fase di valutazione e i risultati sulla sua efficacia non sono ancora disponibili.
Sulla base di queste premesse, il presente articolo si pone tre obiettivi distinti: 1) descrivere i punti essenziali della teoria di Teasdale (1997); 2) descrivere la tecnica di esposizione allo specchio elaborata da Wilson (1999); 3) illustrare, attraverso la descrizione di un caso clinico, l’applicazione e gli effetti dell’esposizione allo specchio secondo le procedure descritte da Wilson (1999).

 
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